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Abyss | Abissi dove si appieda


Abissi d’Immaginario

Prima viene l’Acqua…


Abissi dove si appieda? Una contraddizione bell’e buona.

Ma si sa, si la chiamiamo arte, possiamo permetterci licenze financo eccessive e in questo caso un’analisi delle acque è dovuta.

Abissi di acqua. Scura e profonda, l’acqua, è il più ancestrale degli elementi. Per il filosofo ionico Talete è l’arché, il principio e forza vitale del mondo.

Nell’acqua amniotica maturano i nostri corpi prima di nascere e quando stiamo per vedere la luce del mondo è proprio l’acqua ad annunciarci. L’acqua che si rompe e inonda.

Per Jung, tra gli archetipi, è il simbolo più tipico dell’inconscio.

Mari in tempesta, acque placide, fiumi o laghi, o oceani che siano, l’acqua rumoreggia attraente e respingente, proprio come l’eterno infrangersi delle onde sulla battigia.

L’acqua che domina e stravolge paesaggi, l’acqua dragata e addomesticata. Una massa informe ma colma di sé stessa che rappresenta tutto il caos del mondo interiore. Ma anche il suo silenzio, la riflessione, il tepore del lasciarsi andare.

In questo ciclo recente, ho immerso i pennelli in acque perlopiù silenziose e calme. Il silenzio di una conversazione tra un cane e dei pesci, in un impossibile gioco linguistico battezzato nelle profondità marine.

L’acquerello – sembra ridicolmente ovvio – è stato il mezzo principe di questa ricerca, ma non solo. Le grandi dimensioni dei dipinti a olio offrono un affaccio sui suoi abissi colmi di acqua.

Settembre negli Abissi


Se precedentemente l’acqua aveva occupato un minimo spazio nella mia ricerca artistica, ad un certo punto questo elemento archetipico assume tratti nuovi. E si carica di una rilevanza concettuale ben al di là dell’incidente estetico.

Provo a raccontarvi come tutto è iniziato:

Sono tornata da un lungo periodo in Salento – la mia terra, il mio mare – con questa ossessione per l’acqua. La forma dei corpi immersi nell’acqua, il modo in cui il liquido deforma e trasforma.

Quando sono in acqua al mare, mi sento sotto una specie di coperta liquida che mi nasconde e mi protegge da sguardi indiscreti. Eppure è solo un’illusione! L’acqua, infatti, è pressoché trasparente e a volte addirittura amplifica la visione

Ma il mare da sempre mi fa paura. Il mare blu profondissimo che nasconde e custodisce chissà cosa. Ma più in generale l’idea che il mare sia una cosa gigante, illimitata seppure con dei confini. Quando do le spalle alla spiaggia e guardo l’orizzonte le vertigini sono immancabili. L’acqua in generale, ma soprattutto il mare, per me è esperienza viva dell’abisso, dell’infinito“.

Abissi d’immaginario

…Poi viene l’Abisso


“Abissi dove si appieda” come serbatoi senza fondo di produzioni immaginative, otri sempre pieni di figure, che guardano gli astanti e li invitano a immergersi.

Lo sguardo dello spettatore è a metà, tra sott’acqua e fuori. Risulta una serie di oblò pittorici in cui si guarda la scena dal punto privilegiato.

Non c’è bisogno di scegliere da che parte guardare. Uno schermo gettato in acqua ci consente di vedere quello che succede fuori – nel regno delle voci, del pensiero geometrico. Ma ci permette allo stesso tempo di guardare sotto la superficie, di lanciare uno sguardo dove la luce arriva affievolita e imperano silenzio e esprit de finesse.

Sott’acqua tutto è sonnolento e calmo. Non si può parlare, sott’acqua. Il richiamo alternativo che propongo è fatto di pittorici gorgoglii, bolle, “glu-glu”, mentre provo (sempre in silenzio) a strizzare l’occhio alla mitologia più classica.


E se il pittore è creatore, allora può immaginare ossimori che nonostante il paradosso hanno senso.

Abissi dove si appieda, infiniti acquatici che possiamo percorrere in qualche modo. Grazie all’arte, grazie all’immaginazione.

trittico – versione digitale

Epilogo: Corpo | Abisso | Mente

La mia ricerca è sfociata in una quasi doverosa ricerca sul corpo, sulla mente, su cosa sono l’uno per l’altra. L’epilogo di questo lavoro iniziato nel 2020 è il trittico autoritratto “Sottosopra” – tre pitture a olio 60×80. Il primo e l’ultimo sono realizzati su tela, quello centrale su pannello di legno. Il trittico è stato anche rielaborato in digitale.

EPILOGO – Un bel giorno ho deciso di inabissarmi in questo percorso sottomarino che mi ha portato a esplorare profondità liquide della mente, della psiche e del corpo. È nell’acqua che mi sono riappropriata della consapevolezza che il corpo è limite, patio, confine della mente.
Nell’acqua il dualismo degli opposti carne-pensiero scompare: se il corpo è una spugna e la mente è ciò che la fa molle. Senza spugna, l’acqua si disperde; senz’acqua la spugna è dura e secca. Acqua e spugna sono un unicum di intriso-intruso, sono l’una nell’altra in un dappertutto integrato e diffuso.

L’abisso accoglie, protegge, rallenta. L’abisso, che nell’immaginario è senza fondo, è qui la possibilità stessa di toccare il fondo, con tutta la vastità di significato di questa espressione.

Cos’è il fondo?

Il fondo è ciò che di peggio possiamo temere; il fondo è ciò che più c’è di celato alla coscienza, il fondo è ciò che permette alle figure di emergere; il fondo si sacrifica nel nome del contrasto.

Il fondo è il cerchio perfetto di quel bicchier d’acqua in cui si può affogare.
Nell’abisso, tra il fondo buio e quella superficie vibrante di luce, si può trovare protezione, fuga dal mondo, dai mostri solidi e reali che sott’acqua vengono stipati tra allucinatorie memorie ipnagogiche.
L’abisso è il regno di Ipno, amorevole ospite di nascita e morte.
In fondo però L’abisso non è solo marino; L’abisso è anche profondo nero del cielo, vasta linea dell’orizzonte, monocromo dell’azzurro cielo.

Perché proprio l’acqua, allora?

Pensate al corpo immerso nell’acqua. La sensazione è di protezione, dal freddo oppure dal sole scottante, protezione da sguardi indocili sulla nudità del corpo. Eppure quanto questa sensazione è illusoria? L’acqua è una lente che amplifica. E deforma.
L’acqua abissale ci restituisce forse deformati, forse normalizzati a un mondo asciutto e sicuramente esso stesso deforme. Ma non è detto che chi ne fa esperienza, una volta toccato il silenzio del fondo, sia disposto a tornare in superficie.